Intervista ad Antonio Palese regista de “Le Smodellate”

Cochlea, fondata nel 2003 da Antonio Palese, è una compagnia di spettacolo che opera nei settori del teatro, cinema e animazione. La compagnia si distingue per la realizzazione di eventi culturali e sociali, con una particolare attenzione al coinvolgimento della comunità e alla promozione dell’inclusività, specialmente attraverso progetti video legati alla disabilità. Cochlea ha prodotto una vasta gamma di spettacoli teatrali, cortometraggi e documentari, lavorando su temi vari che spaziano dall’ambiente alla promozione turistica, fino a questioni sociali e sanitarie. La compagnia è nota per l’approccio innovativo e sperimentale nelle sue produzioni, combinando competenze artistiche e tecniche per creare contenuti significativi e coinvolgenti.

Abbiamo intervistato il regista Antonio Palese in occasione dell’ultimo ciak girato a Savona per il film “Le Smodellate”:

Lei ha una lunga esperienza di regista con numerose partecipazioni a Festival internazionali. Quale è stato il suo approccio nel dirigere questo cortometraggio?

Arrivo dal mondo del teatro, in particolare dall’animazione teatrale tipica torinese, che attraverso un processo fatto di giochi ed esercizi porta i partecipanti a esprimere la propria teatralità, utilizzata poi per inventare lo spettacolo. Da ormai dieci anni guido i miei attori nella realizzazione di film e cortometraggi, utilizzando proprio questo metodo teatrale.

La sceneggiatura viene scritta e modellata sugli attori e sulle possibilità offerte dalla comunità. Si tratta di un tipo di cinema un po’ diverso da quello che parte da una storia prestabilita: con questo approccio, tutto nasce dai protagonisti e dalla loro comunità.

Qual è il suo rapporto con gli attori e in particolare, come si pone rispetto al cinema di inclusione nel quale si è specializzato, contando numerose collaborazioni e una filmografia notevole?

Mi sembra importante sottolineare che non mi occupo di arte terapia; sono un regista e il mio obiettivo è creare storie che appassionino il pubblico. Il fatto che i miei attori abbiano una disabilità per me è irrilevante; ciò che mi interessa è la loro bellezza. Il mio compito è metterli in condizione di mostrarla al mondo e, possibilmente, offrire al pubblico l’opportunità di avere uno sguardo nuovo nei confronti della disabilità.

Cosa le ha lasciato l’esperienza di girare a Savona, un set cittadino non certo uso a questo tipo di attività?

Amo il mio lavoro perché mi permette di conoscere luoghi e persone in modo particolare. A Savona ho trovato una splendida accoglienza: abbiamo richiesto diversi permessi per girare in molte location e tutti sono stati molto disponibili. Anche quando siamo arrivati all’improvviso, la gente è stata davvero cordiale e partecipativa, felice di far parte di qualcosa di importante.

Devo dire che, soprattutto all’inizio della mia carriera, non era facile far capire agli enti l’impatto e la bellezza del mio metodo di lavoro. A Savona, i responsabili del Faggio che mi hanno seguito hanno appoggiato pienamente l’idea e hanno assecondato le mie richieste. Questo supporto è stato indispensabile per la buona riuscita del progetto.